Orgoglio precario - Articolo

Vivere al meglio nell'incertezza

Premesse Prima di tutto una precisazione. Il titolo va inteso come “L’orgoglio dell’essere precario” e il termine precario si riferisce alla situazione lavorativa di una persona e non ad una emotiva: indica uno status professionale al quale oggigiorno dobbiamo abituarci. Non deve, quindi, essere inteso come una debolezza del proprio orgoglio ma come la “fierezza” di non avere un lavoro stabile e non fare del posto fisso la chimera della propria vita, la massima aspirazione, la malattia della stragrande maggioranza degli italiani. Forse questo incipit potrebbe sembrare provocatorio e destabilizzante, capisco. In parte lo è, ma In parte è frutto di una riflessione che vuole essere anche un messaggio di speranza e di ottimismo a chi vive il precariato quotidianamente e da molti anni. Quella che stiamo vivendo e che abbiamo di fronte è l’era del precariato professionale e della flessibilità lavorativa. E questo vale a tutti i livelli e in quasi tutti i settori merceologici (mal comune…). Negli ultimi anni gli economisti prima, sociologi e autori dopo hanno analizzato e approfondito il tema della precarietà lavorativa. Avete letto bene, ho scritto “opportunità” ed è proprio questo il secondo e più importante aspetto sul quale vorrei riflettere ovvero che, spesso, la precarietà pur essendo portatrice di insicurezze e instabilità, proprio per le sue caratteristiche, può essere fonte di nuovi stimoli, di crescita personale e professionale. Tuttavia questa condizione è, quasi sempre, vissuta male anche e soprattutto per il vizio che abbiamo noi occidentali nel attribuire accezioni esclusivamente negative a termini, concetti e situazioni contrapponendogli aspetti completamente positivi. Precario e incerto è male, sicuro e certo è bene. Celentano direbbe: “A tempo indeterminato è Rock, Precario non è Rock!”. Il problema è che noi continuiamo a ragionare, sempre e comunque, in bianco e nero, limitando sensibilmente la possibilità di cogliere spunti utili per noi da situazioni che, obbiettivamente sono più complesse, ma che spesso sono foriere di maggiori insegnamenti e, magari, anche di maggiori guadagni economici. La copertina dello scorso aprile di Business People era dedicata a Oliviero Toscani, il famosissimo fotografo diventato un riferimento internazionale nel campo della creatività e della comunicazione che, nell’intervista a lui dedicata, si definisce “precario fortunato” perché fin da giovane ha sempre sostenuto il proprio orgoglio di non avere e non anelare nemmeno ad un posto fisso. La precarietà lo ha aiutato a dare di più e meglio soprattutto per il fatto di aver avuto il coraggio di scegliersi lui le persone con cui lavorare e questo, notate bene, anche quando era giovane e non famoso come oggi. In ultimo, ma non per ordine di importanza vorrei ribadire, se mai ve ne fosse bisogno, che comprendo perfettamente le difficoltà della precarietà intesa in termini professionali, in termini di tutela (infortunio, malattia e maternità) e di sicurezza sul lavoro. Capisco benissimo l’angoscia di chi, senza questa stabilità, non riesce ad organizzare la propria vita come vorrebbe ma la realtà ci dice che la precarietà, in questo momento storico, è una moda che si sta diffondendo rapidamente. Nel nostro settore poi la precarietà non riguarda solo gli istruttori ma anche, e in alcuni casi soprattutto, i gestori Orgoglio Precario pertanto vuole essere una “consapevolizzata” (termine preso in prestito dal buon Francesco Muzzarelli) di questi due aspetti: 1) Il precariato lavorativo fa parte della nostra generazione e pur essendo, allo stato attuale, ancora l’eccezione della regola è facile prevedere che per le generazioni future sarà la regola e il posto fisso l’eccezione. 2) Chi riesce ad accettare la precarietà ha inevitabilmente una marcia in più rispetto a chi si adagia nelle sicurezze di un posto fisso o, situazione peggiore, si angoscia a ricercare esclusivamente situazioni lavorative stabili e sicure contrattualmente. l gestore precario nell’ambiente precario Il gestore di un fitness Club, gestore proprietario o gestore e basta, poco cambia….è precario per definizione perché ha scelto di investire su se stesso e sulle sue capacità. Anche il Sig. Branson, ne sono convinto, si sente precario o quantomeno avrà vissuto la precarietà nel modo giusto e ne è dimostrazione il fatto che nella sua vita ha investito in moltissimi settori mettendo ogni volta in discussione le proprie capacità imprenditoriali e organizzative. Il problema o l’opportunità, a seconda dei punti di vista, è che l’intero settore del Fitness è precario per definizione. Sicuramente in Italia e probabilmente anche in molti altri stati stranieri. In un business come questo non ci si può mai sedere ad aspettare che succeda qualcosa, che la gente entri a comprare abbonamenti annuali e che apprezzi tutti gli sforzi che facciamo per mantenere strutture sempre più onerose. Come sappiamo in questi anni stanno andando di moda servizi basati sull’acqua che, come sappiamo, si portano dietro costi notevoli e spesso non controllati o poco analizzati. Come se non bastasse l’imprenditore precario del fitness ha a che fare con una legislazione precaria e con personale precario. La scure dell’ENPALS che prima o poi si abbatterà sui Club, potrebbe mettere in crisi i conti di la stragrande maggioranza delle strutture sportive (vedi articolo dell’Avv.Martinelli sul numero 102 de Il Nuovo Club) e, quindi, pur apparendo difficilmente applicabile resta appesa sulla testa di chi opera nel settore dello sport, rendendolo ancora più precario di quello che è già di suo. Come se non bastasse i gestori si avvalgono di organizzazioni precarie con turn-over elevatissimi in un mercato che sta cambiando velocemente. Il fitness è la prima attività sportiva praticata in Italia (dati ISTAT 2006) e di questo fatto se ne sono accorti in tanti. Lo sviluppo delle catene fino a questo momento ha portato più benefici che danni (escludendo chi ha subito in modo diretto la loro concorrenza, ovviamente), incrementando sensibilmente il numero di praticanti, ma le catene non si sono ancora pienamente sviluppate visto che in Italia mancano ancora all’appello catene Spagnole, Russe, ecc. La seconda ondata di aperture (sia delle catene esistenti che di nuove catene) potrebbe manifestare in tutto e per tutto la precarietà del settore. Come se non bastasse gli attacchi concorrenziali arrivano anche da prodotti/servizi che prima non esistevano. Diversi anni fa avevo anticipato in un mio articolo alla concorrenza che nuove tecnologie potrebbero portare al nostro settore. Tutto ciò che avevo paventato sta per realizzarsi. Verso la fine del 2007 è iniziata (in Giappone) la commercializzazione della Wii-Nintendo, consolle per videogiochi di settima generazione, battezzata da un successo clamoroso. Nei mesi successivi sono iniziate le vendite in Europa e nel resto del mondo. Allo stato attuale le conoslle wii vendute sono già diversi milioni. Cosa c’entra una consolle per videogiochi con noi? Sappiate che recentemente (lo scorso 24 aprile) è stato proposto sul mercato il “gioco” Wii Fit, sistema interattivo con tanto di pedana “impedenziometrica” e programma di allenamento personalizzato. Anamnesi, personal trainign, verifica dei miglioramenti, incitamento e stimolo alla motivazione all’esercizio fisico, sgridata se non ti alleni, ecc. Tutto ciò che potreste desiderare dal vostro istruttore di fiducia, tutto in automatico, a casa tua quando vuoi tu e per sempre ad un costo di un abbonamento trimestrale o semestrale (a seconda dei listini…). La consolle, infatti, costa poco più di 250 euro, la pedana del Wii Fit e il programma che ti aiuteranno a rimetterti in forma, poco più di 80 euro… In Giappone ne hanno vendute più di un milione di copie nelle prime due settimane. In Italia, dopo 5 giorni dal lancio Wii Fit è primo in classifica nelle vendite di videogiochi…. Il problema qui non è sindacare se sia o meno un allenamento efficace quello organizzato dalla Nintendo e nemmeno schierarsi dietro all’esperienza di questi anni che ci dice che in palestra i clienti vengono soprattutto per vedere e conoscere altre persone. Il vero problema è che non possiamo essere così presuntuosi da pensare che uno strumento del genere non ci “ruberà” nessun cliente. Tra le altre cose un prodotto del genere potrebbe rendere un po’ più precario anche il lavoro di chi costruisce attrezzature….perché un gestore potrebbe sempre inventarsi una stanza piena di Wii Nintendo (una consolle è in grado di gestire 8 persone, 20 consolle…..), anzi, qualcuno lo ha già fatto. Il vero problema è che le persone (clienti o gestori che siano) ragionano per comparti di spesa…e una volta che un potenziale cliente spende 350 euro per il suo benessere o un gestore 7000 euro per il benessere di 160 clienti (sempre meno di un tapis roulant di medio livello….) quel cliente (o gestore) avrà fatto il suo investimento in quel settore di spesa e potrete giurarci che non spenderà soldi ulteriori per un po’ di tempo anche se quel investimento non avrà dato i suoi frutti. Se poi i risultati dovessero pure arrivare ci dovremmo preoccupare seriamente. Che consiglio dare agli imprenditori precari? In primo luogo accettare che la “madre” di tutte le precarietà è la forza competitiva del mercato, la sua dinamicità e la sua complessità. Capire che nel mondo del fitness esistono ancora mille possibilità da sondare e provare ma per questo non bisogna disperare anzi, bisogna sentirsi un po’ più precari o esserne orgogliosi perché siamo cresciuti più di altri settori. Avendo esperienza anche in business diversi dal fitness vi posso testimoniare che in comparti molto più ricchi (ad esempio quello automobilistico) non esiste una manifestazione di spessore per qualità e quantità di contenuti come il Forum & Congresss Trade Show che annualmente viene organizzato da chi edita questa rivista. Il fatto che proprio in ambito fitness sia nata una manifestazione del genere è testimonianza dell’esigenza di affrontare in modo dinamico un servizio molto complesso che ha portato centinaia di operatori a reinventarsi continuamente il modo di proporre le loro aziende sul mercato. Bisogna sentirsi precari per partecipare a manifestazioni del genere o leggere queste righe. Ed è questo lo spirito giusto. Di converso esistono moltissimi operatori che non partecipano ad eventi di questo tipo, forse perché si sentono sicuri che andrà sempre tutto bene, probabilmente non si sentono precari abbastanza e prima o poi faranno i conti con il mercato… Lo Staff precario nelle organizzazioni precarie In verità i veri precari sono loro: gli istruttori. L’importante è non meravigliarsi che per molti l’insegnamento sia un “di più” nel loro contesto professionale/reddituale. Per quanto detto fino a questo momento non potrebbe essere altrimenti. E’ pur vero che molti istruttori affrontano questa situazione con il giusto orgoglio precario, vivono bene e in modo utile questo periodo della loro vita: si aggiornano, si mettono in discussione, progettano una crescita professionale, progettano di diventare personal trainer o imprenditori. Non è un caso che, in passato, quando l’investimento era ancora sostenibile, molti istruttori siano diventati titolari di Club. Recentemente gli istruttori che hanno vissuto in modo orgoglioso il loro precariato o sono diventati personal trainer o hanno aperto piccoli centri specializzati (Studi di Pilates, Centri di Personalr Trainer, ecc) e, soprattutto in questo secondo caso, si tratta spesso di aziende a redditività ben più alta di realtà di migliaia di metri quadri. L’istruttore orgogliosamente precario non deve necessariamente diventare un imprenditore nel vero senso della parola ma si sente tale anche quando lavora per uno o più Club. Il mio primo libro “L’istruttore Imprenditore”, pensato e scritto circa dieci anni fa, voleva proprio significare questo aspetto. Che consiglio dare agli Staff precari? Agli istruttori e alle altre figure che operano nel fitness mi sentirei di suggerire in primo luogo di scegliersi oculatamente i Club con cui collaborare. La richiesta di insegnanti e consulenti è alta e spesso supera l’offerta. Cercate di conosce e capire le organizzazioni presso le quali potreste lavorare e scegliete quelle che vi garantiscono la maggior crescita professionale. Non guardate solo al guadagno, intanto, molto spesso, parliamo di differenze di qualche euro all’ora. Puntate su quegli imprenditori e, quindi, su quelle strutture che sentendosi precarie sono sempre in movimento: puntano sulla formazione, credono nella crescita delle persone per migliorare il servizio e affrontano il mercato in modo organizzato con una visione strategica. Fate attenzione, però, che le realtà apparentemente più organizzate non è detto che siano quelle che puntano realmente sulle persone. Infatti, la risposta dell’atteggiamento occidentale alla dinamicità del mercato è stata, spesso, quella di definire rigidamente i processi di funzionamento delle aziende per avere certezze sui meccanismi di produzione di servizi o prodotti. Tenete sempre a mente questa frase: “Se vuoi costruire una nave, non radunare persone per procurarti la legna e preparare gli attrezzi, non assegnare compiti e incarichi, ma insegna loro la nostalgia dell'oceano infinito…” (Antoine de Saint-Exupéry). Ovviamente un’organizzazione vive di compiti e di ruoli, non sto certo dicendo che queste suddivisioni non servano ma è altrettanto vero che senza la visione e la condivisione di ciò che è possibile raggiungere difficilmente le regole serviranno a qualcosa. Chi è orgogliosamente precario queste cose le sa. Chi vive male l’instabilità spera che i processi risolvano ogni cosa, ma i processi non risolvono nulla se le persone che devono applicarli non credono nella visione. Un’organizzazione che funziona vede al suo comando un leader che si sente precario lui per primo e uno staff di precari convinti. Se si verificano queste condizioni la probabilità che le cose vadano bene sono elevate, altrimenti può essere difficile o sarà sempre più difficile. In sostanza, sceglietevi un imprenditore o un manager orgogliosamente precario con cui lavorare. Conclusione: l’orgoglio precario Concluderei queste mie riflessioni con un messaggio per tutti coloro che vivono la precarietà lavorativa: “Pur essendo precario non preoccuparti della precarietà . Fai in modo che proprio questa condizione sia lo stimolo maggiore a migliorarti continuamente. Non anelare al posto fisso, intanto di posti realmente fissi non ne esistono, tanto meno adesso in uno scenario economico permeato di incertezza. Anche l’azienda più grande e apparentemente più stabile vive la precarietà, la cosa importante è capire come si vive questa condizione… Credi in te e nelle tue capacità. Guarda oltre e non fermarti mai nella tua crescita professionale. Domani, magari, arriverà un gran bel posto fisso e chissà che non ti capiterà pure di rifiutarlo, perché avrai già trovato il tuo equilibrio o avrai capito che costruirti le certezze da te è molto più interessante che non appoggiarsi e crogiolarsi sulle certezze di qualcun altro. Se non sei convinto di queste affermazioni, prova comunque a ragionare sul fatto che il precariato può essere opportunità, mal che vada vivrai meglio e in modo più redditizio (da un punto di vista della crescita personale sicuramente) un periodo della tua vita. Ricorda sempre che il detto di origine latina “Fai di necessità virtù” potrebbe, oggi, essere tradotto in “Fai della precarietà una virtù!”