Te la do io la crisi - Articolo (prima parte)

Riflessioni non convenzionali sulla crisi economica

Si parla tanto di crisi, da troppo tempo e, molte volte, a sproposito. Siccome sono diversi anni ormai che affronto questo argomento durante i corsi che tengo ho deciso di scrivere il mio pensiero avendo anche il coraggio di dire cose che staranno scomode a molti e di lasciare traccia di ciò che sto dicendo con il rischio, evidente, di poter essere smentito dai fatti futuri. Credo che nessuno abbia la sfera di cristallo, ma anche che pochi sono pronti a rischiare per le loro idee mentre molti sono capaci a tirare in ballo la crisi economica o per giustificare loro mancanze o per avvalorare le proprie idee trasformando un periodo dell’economia mondiale in uno straordinario strumento di propaganda. Credo, inoltre, sia necessario parlare in modo obbiettivo e coraggioso di meccanismi che, accettati passivamente, possono schiacciare anche l’entusiasmo delle persone più motivate a vantaggio di chi, in una situazione del genere, vuole approfittarsene. Fare chiarezza e dare stimoli a ripensare la crisi per quello che è e non per quello che ce la vogliono far sembrare sono gli intenti dichiarati delle prossime righe. L’articolo si svilupperà in due “puntate”: in quest’occasione cercheremo di fare chiarezza sull’origine di questa crisi e di capire come, quanto e se è strumentalizzata da chi governa i paesi occidentali. Nella seconda parte cercheremo di capire come affrontare la situazione nel modo più “strategico” possibile. • Definizione di crisi La parola “crisi” deriva dal greco krisis e riguarda un momento di decisione, di scelta, di separazione o svolta. Per gli orientali è diverso ma, con sorpresa di molti, non più di tanto. Si è vissuto, infatti, per anni un “inganno etimologico” dovuto, pensate, a John F. Kennedy che, parlando del significato degli ideogrammi cinesi che rappresentano la parola crisi, disse erroneamente che quello di sinistra rappresenta il pericolo e quello di destra opportunità. In realtà in cinese i caratteri 危机 così affiancati significano (insieme): punto cruciale o momento di svolta. Non che JFK non avesse capito nulla, per carità, ma che noi occidentali tendiamo a razionalizzare un po’ troppo le cose e a creare frasi ad effetto, questo si. L’utilizzo della parola crisi e mi riferisco all’impiego che se ne sta facendo in questo periodo per descrivere l’attuale condizione di mercato è, pertanto, fuorviante. Perché tutto sembra in questo momento ma non che sia abbia la possibilità di scegliere e se svolta deve esserci sembra possa essere esclusivamente negativa. Le scelte che hanno originato questa crisi, come vedremo tra breve, sono state fatte su altri tavoli, su altri mercati e non ci sono nemmeno state spiegate tanto bene. In ogni caso la situazione in cui ci troviamo e questo scenario ci costringono a scegliere più velocemente di prima, con tutte le conseguenze, anche emotive, che ne conseguono. Scegliere e cambiare sono due “sport” faticosi per i più…. • Definizione di mercato in crisi Ho menzionato poco fa una parola cruciale: il mercato. Come ci dicono, questa è la crisi del mercato economico. Dire che il mercato è in crisi, è già una contraddizione in termini perché si attribuisce al mercato un potere di scelta, umanizzando qualcosa che umano non è. Ciò che non è stato detto è cosa è andato in crisi, perché le origini dell’attuale situazione si è mantenuta colpevolmente nebulosa. I più sanno che il sistema finanziario americano è stato messo in ginocchio da una grande quantità di mutui non assolti dalle classi medie e operaie. In realtà ad andare in crisi è andato il mercato produttivo che ad un certo punto ha dovuto scegliere se produrre nei paesi industrializzati a costi alti o in posti in cui il costo della mano d’opera è bassa o bassissima. Per questo motivo negli anni ’90 e negli anni 2000 gran parte della produzione è stata spostata in “Cindia” quel “sovrastato” di 3 miliardi e mezzo di persone composto dalla Cina e dall’India. Con lo spostamento della produzione tante aziende hanno chiuso, tante famiglie non hanno più avuto la possibilità di pagare i mutui, molte banche sono fallite. Quella che stiamo vivendo, quindi, è una crisi finanziaria determinata da una crisi produttiva. Questo è il “filotto” che ha messo in ginocchio gli USA. Succederà ancora e succederà altrove? Ovvio, continuerà a succedere fino a quando produrre “da noi” costerà molto di più che produrre “da loro” (e trasportare da noi). Succederà fino a quando le economie occidentali non troveranno modi più economici per produrre o si concentreranno nel produrre qualcosa che “Cindia” non è in grado di produrre. Il processo di assestamento è già iniziato, il mercato si sta muovendo c’è solo da sperare che abbia preso la direzione giusta. A questo proposito come non ricordare una canzone di Gaber dal titolo “Il Mercato” in cui lo straordinario poeta milanese recitava cantando (o cantava recitando, fate voi): “Il mercato è un ordigno innescato un circuito completo è la grande invenzione è l'atomica dei più potenti è una competizione tra le più disumane senza pietà per il massacro dei perdenti.” • Le crisi sono cicliche Siccome dobbiamo parlare di crisi del mercato era importante definire e approfondire i due concetti e questo abbiamo fatto nelle prime due regole. Adesso affrontiamo i due termini messi insieme raccontando, nuovamente, qualcosa di scomodo: questa crisi economica del mercato era prevista da oltre un secolo, si avete capito bene già nei primi del ‘900 si diffusero gli studi sull’esistenza di cicli economici regolari ovvero sull’esistenza di alternanze periodiche di momenti di crescita e di decrescita del mercato. Il principale esponente di questi studi fu un economista russo: Nikolaj Kondrat'ev, ma molti altri si interessarono all’argomento e giunsero più o meno tutti quanti a individuare un certa regolarità negli andamenti del mercato e del fatto che esistono alternanze tra crisi e crescita. Si sono individuate diverse lunghezze di queste crisi e, attualmente, sembra che i cicli abbiano una durata di 80 anni per le crisi più importanti essendo intervallate da crisi intermedie a 40 anni… Fa impressione pensare che tra il crollo della borsa di Wall Street del 1929 e l’attuale crisi sono trascorsi circa 80 anni e che agli inizi degli anni ’70 (ovvero 40 anni dopo) si visse un’importante crisi legata a questioni energetiche (crisi petrolifera). Altro fatto importante riguarda la durata delle fasi di ogni ciclo, in particolar modo la durata delle depressive, visto che ci siamo in mezzo. La Grande Depressione, ad esempio, durò circa dodici anni dal 1921 al 1933 e, giusto per confermare la teoria dei cicli economici la vera Grande Depressione fu la crisi precedente a quella “del ‘29” e si svolse tra il 1873 e il 1895. Possiamo, quindi, tranquillamente affermare che questa crisi era prevista almeno come “intorno” temporale e che erano e sono abbastanza prevedibili le durate di depressione e sviluppo. Sembra, come detto, che il mercato, o meglio, l’insieme di operatori e di scelte che lo caratterizzano si “assestino” alla ricerca di un nuovo equilibrio ogni una decina di anni (crica). La domanda che sorge spontanea è: “a che punto del ciclo economico ci troviamo? Quanti anni di “assestamento” ci vorranno?” Anche in questo caso azzardo una previsione e dico almeno 3 anni (da 2 a 4) più un altro periodo forse più breve di 2 anni (da 1 a 3) per uscirne definitivamente. Quindi una minimo ottimista di 2/3 anni e un massimo pessimista di 5/6 anni • La crisi come strumento demagogico Riassumendo: la crisi economica è un punto di svolta in un mercato che è fatto di scelte, in cui l’alternanza di crescita e decrescita è assolutamente normale e in cui i periodi di grande depressione durano all’incirca 10/12 anni. Vista così potrebbe sembrare incoraggiante da una parte e deprimente dall’altra. Incoraggiante perché è già successo e sappiamo che la crisi passerà, deprimente perché non abbiamo bene capito quando. Ora le domande che sorgono spontanee sono: per quali motivi certe cose in merito all’origine e alla durata della crisi, pur essendo note, non vengono dette? Come mai in prossimità delle elezioni chi governa (di qualsiasi stato si tratti) parla di una “ripresina” e nel momento in cui chi viene eletto (di qualsiasi partito si tratti) annuncia che la crisi non è passata e si attendono tempi difficili? La risposta è piuttosto semplice la crisi economica è un argomento che ha un impatto virale sulla comunicazione di massa ed è uno straordinario strumento per fare politica e per speculare. E’ un po’ come usare la minaccia di un attacco con armi di distruzione di massa per produrre più armi, fare una guerra e distrarre l’attenzione della popolazione da problemi che riguardano lo stato (Vietnam e Iraq insegnano). Non vorrei passare per antiamericano, per carità, è per fare degli esempi, perché le strategie utilizzate dagli USA sono state usate da quasi tutti i paesi industrializzati (e non) di tutto il mondo. L’informazione, anzi la disinformazione, è una delle “armi” del futuro e il tema della crisi rappresenta un proiettile dal grande calibro. Volete un esempio di strumentalizzazione dell’informazione relativa alla crisi? Alcuni telegiornali qualche giorno dopo lo scorso Natale hanno mandato in onda servizi in cui sostenevano che la vendita di panettoni al dettaglio si era contratta del 20% per colpa della crisi, con diverse riprese di bar e supermercati in cui erano presenti ancora panettoni oramai in offerta… Ma secondo voi quale attendibilità può avere un’indagine di cui non è nemmeno citata una fonte e come potrebbe essere possibile andare a contare i panettoni venduti e non venduti nel giro di pochi giorni? Obiettivamente ritenete plausibile una notizia del genere? Utile? Non direi. Allora dobbiamo essere consapevoli di una cosa: l’impatto che possono avere notizie relative alla crisi hanno più importanza (molta più importanza) della veridicità delle notizie stesse. Siccome la vita (e non solo il sistema economico) vive secondo la cosiddetta “Teoria degli incentivi” così ben illustrata dall’economista Steven Levitt è chiaro che se l’impatto delle informazioni relative ad un determinato argomento è estremamente più importante di quanto siano queste siano vere o verificabili, chi governa la comunicazione tenderà ad essere “incentivato” a “tradire” i codici deontologici dei giornalisti e ad usare l’argomento (in questo caso la crisi) e non ad analizzarlo oggettivamente. • La crisi come alibi Qualche anno fa, era esattamente il 2005, due esperti di marketing, Kim Chan e Renée Mauborgne riportarono in un loro lirbo (Strategia Oceano Blu) che circa il 90% delle nuove aziende (o meglio dei nuovi prodotti) lanciate sul mercato falliscono nei primi cinque anni di vita per errori di marketing e posizionamento. Dimostrarono che, spesso, gli insuccessi commerciali sono dovuti al fatto che chi inizia l’attività di imprenditore non sa nemmeno cosa significhi marketing o strategia commerciale. In particolar modo molti imprenditori pensano di avere l’ownership del cliente o un qualche vantaggio competitivo di prodotto rispetto ai concorrenti quando in realtà non hanno niente di tutto questo e come unica strategia di differenziazione adottano le guerre di prezzo o l’aggiunta di caratteristiche ai propri prodotti/servizi. Ci pensate? Un prodotto su dieci ce la fa, un’azienda su dieci riesce ad emergere, le altre abbandonano o riescono a farsi comprare da aziende più grosse (e alle volte può essere un vero business …). Questa premessa per ribadire un concetto già espresso ovvero che le aziende sono sempre fallite e, quindi, non è una novità se tante aziende (nuove o vecchie che siano) chiudono, così come non è straordinario scoprire che in un periodo di crisi economica le chiusure sono più numerose in percentuale, ma non possiamo dimenticare che tante aziende sono fallite anche quando il mercato era in fase espansiva. La crisi, in realtà, molto spesso è un formidabile alibi per giustificare le mancanze di imprenditori non molto efficaci. I dati e le considerazioni di Chan e Mauborgne sostengono la tesi secondo la quale la maggior parte dei fallimenti dipende da errate scelte di marketing e management che i diretti interessati non sono quasi mai disposti ad ammettere. Provate a riflettere a mente fredda a casi di imprenditori di vostra conoscenza o di realtà commerciali della vostra zona che recentemente hanno chiuso i battenti. Evidentemente ci saranno alcuni che saranno stati “schiacciati” dalla crisi e che non avranno nessuna responsabilità in merito ai fallimenti delle loro aziende, ma se riflettete a mente fredda potrete verificare che si tratta di casi sporadici e che in diverse situazioni le responsabilità dei titolari delle aziende erano evidenti ma che la crisi è stata presa come un alibi bello e buono. In definitiva possiamo dire che la crisi esiste, è reale, durerà ancora per qualche anno, ma non dobbiamo farci prendere in giro da chi vuole strumentalizzarla ne usarla come alibi per le nostre mancanze. Abbiamo terminato la parte dedicata alla consapevolezza…nella seconda parte faremo delle riflessioni su come interpretare questo particolare momento di mercato e affrontarlo con coraggio e determinazione.